duminică, 25 mai 2008

REZUMAT - Giovanni BOCCACCIO

GIOVANNI BOCCACCIO

PROSOPOPEA DI DANTE

Dante Alighieri son, Minerva oscura
D’intelligenza e d’arte, nel cui ingegno
L’eleganza materna aggiunse al segno
Che si tien gran miracol di natura. 4

L’alta mia fantasia pronta e sicura
Passò il tartareo e poi ’l celeste regno,
E ’l nobil mio volume feci degno
Di temporal e spirital lettura. 8

Fiorenza
glorïosa ebbi per madre
Anzi matrigna a me pietoso figlio,
Colpa di lingue scellerate e ladre. 11


Ravenna fummi albergo nel mio esiglio;
Et ella ha il corpo, e
l’alma il sommo Padre
Presso cui invidia non vince consiglio. 14

ARGUMENTI IN TERZA RIMA

ALLA « DIVINA COMMEDIA »

DI DANTE ALIGHIERI

Argumento all’ « Inferno »

Nel mezzo del camin di nostra vita
Smarrito in una valle l’aütore,
Era sua via da tre bestie impedita. 3


Virgilio, dei latin poeti onore,
Da Beatrice gli apparve mandato
Liberator del periglioso errore. 6

 

Dal qual poi che aperto fu mostrato
A lui di sua venuta la cagione
E ’l tramortito spirto suscitato, 9





Senza più far del suo andar quistione,
Retro gli va, et entra in una porta
Ampia e spedita a tutte le persone. 12



Adunque entrati nell’aura morta
Lanime triste vider di coloro
Che senza fama
usâr la vita corta; 15

Io dico de’ cattivi; eran costoro
Da’ moscon punti, e senza alcuna posa
Correndo givan con pianto sonoro. 18


Quindi, venuti sovra la limosa
Riva d’un fiume, vide anime assai,
Ciascuna di passar volonterosa. 21



A cui Caron — Per qui non passerai —
Di lontan grida; appresso, un gran baleno
Gli toglie il viso e l’ascoltar de’ guai. 24


Dal qual tornato in sè, di stupor pieno
Di là dall’acqua in più cocente affanno
Non per la via che
lanime teniéno 27

Si ritrovò. E quindi avanti vanno,
E i pargoletti veggon senza luce
Pianger per l’altrui colpa eterno danno. 30



Dietro alle piante poi del savio duce
Passa con altri quattro in un castello,
Dove alcun raggio di chiarezza luce : 33



Quivi vede seder sopra un pratello
Spiriti d’alta fama senza pene
Fuor che d’alti sospiri, al parer dello. 36



Da questo loco discendendo viene
Dove Minos esamina gli entranti
Fier quanto a tanto officio si conviene; 39



Quivi le strida sente e gli alti pianti
Di quei che furon peccator carnali,
Infestati da venti aspri e sonanti : 42



Dove Francesca e Paolo li lor mali
Contano. E quindi Cerbero latrante
Vede sopra i gulosi; in fra li quali 45



Ciacco conosce. E procedendo avante
Trova Plutone, e’ prodighi e gli avari
Vede giostrar con misero sembiante. 48


Che sia fortuna e la cagion de’ vari
Suoi movimenti Virgilio gli schiude.
E discendendo poi con passi rari 51


Trovan di Stige la nera palude,
La qual risurger vede di bollori
Da sospir mossi d’alme in essa nude; 54


Dove gli accidiosi peccatori
E gl’iracundi gorgogliando in quella
Fanno sentir li lor grevi dolori. 57


Sovra una porta poi doppia fiammella
Subito vede ed una di lontano
Surgere ancora e rispondere ad ella. 60


Quivi Flegiàs adirato il pantano
Oltre gli
passa, nel qual vede strazio
Far di Filippo Argenti e non in vano. 63


Ed a pena era di tal mirar sazio,
Che a piè della città di Dite giunti,
Senza esser lor d’entrarvi dato spazio, 66

Si vide, e quivi da disdegno punti
Per la porta serrata lor nel petto
Dalli spiriti più da Dio disgiunti. 72

E mentre quivi stavan con sospetto,
Le tre Furie infernai sovra le mura
Tisìfon
vider Megèra et Aletto : 75

Appresso, a ciò che l’orribil figura
Del Gorgon non vedesse, il buon maestro
Gli occhi gli chiuse e fenneli paura. 78

L’ascender poi per lo camin silvestro,
Per cui la porta subito s’aprìo,
Mostra, e il passar loro in quello destro. 81

Qui da dolenti strida ed alti Ah Dio! —
Che de’ sepolcri uscivano affocati
De’
quai pieno era tutto il loco rio, 84

In quelli essere intese i trascotati
Eresiarchi e tutti quelli ancora
Che ad Epicuro dietro sono andati. 87

Lì ragionando picciola dimora
Con Farinata e con un altro face
Ch’alquanto all’arca pareva di fora. 90

Disegna poi come lo ’nferno giace
Da indi in giù distinto in tre cerchietti;
E poi dimostra con ragion vivace 93

Perchè dentro alle mura i maledetti
Spiriti
sien di Dite e nel suo cerchio,
Più coloro c’ha di sopra detti. 96

Centauri trova poi sovra al soperchio
D’un’altra valle sovra Flegetonte,
Nel qual chi
fe al prossimo soverchio 99

Bollir vede per tutto; e perchè conte
Le vie selvagge, a passar la riviera
Nesso gli fa della sua groppa ponte. 102

Oltre passati, in una selva fiera
Di spirti in brocchi nodorosi e torti
Mutati
entraron per via straniera : 105

Tutti sè stessi i miseri avìen morti,
Che li piangean divenuti bronconi :
Dove gli
fe Pier delle Vigne accorti 108

Delle dolenti lor condizïoni
E delle sue; e nella selva stessa,
Dopo gli uditi miseri sermoni, 111

Da nere cagne un’anima rimessa
Vide sbranare, e seppe a tal martìro
Dannato chi la sustanza commessa 114

All’util suo biscazza. E quindi gîro
Più giù, dove piovean fiamme di
foco
Fuor della selva sovra un sabbion diro; 117

Là dove Capaneo curante poco
Vider giacer sotto la pioggia grave
Con più molti arroganti. E ’n questo loco 120

Seguendo mostra con rima soave
D’una statua che è di più metalli
L’acqua cadere in quelle valli prave, 123

E quattro fiumi per più intervalli
Nel mondo occulto fare in fino al punto
Più basso assai che tutte l’altre valli. 126

Poi ser Brunetto abbruciato e consunto
Sotto l’orribil pioggia correr vede,
Col quale alquanto parlando congiunto 129

Di sua futura vita prende fede;
Poi Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi
Jacopo Rusticucci in fino al piede 132

Di lui venuti; e ai lor nuovi domandi
Sodisfa presto. E quinci procedette
Dove anime trovò con tasche grandi 135

Sedere a collo sotto le fiammette,
Di loro alcuni all’arme conoscendo
Stati usurieri e per tre prender sette. 138

Poi sovra Gerïon giù discendendo
In Malebolge viene, ove i baratti
In diece vede senza pro piangendo. 141

De’ quali i primi da’ demon son tratti
Con grandi scorreggiate per lo fondo,
Scherniti e, lassi!, vilmente disfatti; 144

Là dove alcun ch’avea veduto al mondo
Vi riconobbe, ch’era Bolognese
Venedico e ruffiano; a cui secondo 147

Jason venìa che tolse il ricco arnese
A’ Colchi. E quindi Alesso Interminelli
In uno sterco vide assai palese 150

Pianger le sue lusinghe, e quinci quelli
Che sottosopra in terra son commessi
Per simonìa; e lì par che favelli 153

Con un papa Niccola: et oltre ad essi
Travolti vide quei che con fatture
Gabbaron non che altrui ma essi stessi. 156

Quindi discendon là dove in l’oscure
Pegole bollon chi baratterìa
Vivendo fece e di quelle misture. 159

Mentre che van con fiera compagnìa
Di diece diavol, parla un che fu tratto
Da Graffiacan per la cottola via 162

— Se’ Navarrese, dicendo, e baratto : —
Quinci com’el fuggì dalle lor mani
Racconta chiaro e de’ diavoli il fatto. 165

Sotto le cappe rance i pianti vani
Degl’ipocriti poi racconta, e mostra
Anna e ’l suo suocer nelli luoghi strani 168

Crocifissi giacer. Poi nella chiostra
Di Malebolge seguente brogliare
Fra’ serpi vede della gente nostra 171

Quivi dannati per lo lor furare
Agnello e ’l Cianfa ed altri e Vanni Fucci;
Li
quai mira vilmente trasformare, 174

Dopo nuovi atti parlamenti e crucci,
E d’uomo in serpe e poi di serpe in uomo
In guisa tal che mai vista non fucci. 177

Descrive poi chi mal consigliò, como
Dicon d’Ulisse, e in fiamma acceso andando
Vede riprender dattero per pomo : 180

Pria con Ulisse e poscia ragionando
Col conte Guido passa. E pervenuto
Sull’altra bolgia vede gente andando 183

Tutta tagliata, sovente a minuto,
Per lo peccato dello scisma reo
Da lor nel mondo falso in suso avuto : 186

Lì Maometto fesso discerneo,
E quel Beltram
che già tenne Altaforte,
E Curio, e ’l Mosca, e molti
quai poteo. 189

Appresso vide più misera sorte
Di alchimisti fracidi e rognosi,
U’ seppe di Capocchio l’agra morte. 192

E Mirra e Gianni Schicchi e più lebrosi
Vide, et i falsator per fiera sete
Idropici fummare stando oziosi : 195

Fra’ quali in quella inestricabil rete
Vede Sinone, e lo maestro Adamo
Garrir con
lui, come legger potete. 198

Quindi lasciando l’uno e l’altro gramo,
Dal mezzo in su li figli della terra
Uscir d’un pozzo vede: et al richiamo 201

Del gran poeta intramendue gli afferra
Antèo, e lor sovr’al freddo Cocito
Posa; nel quale in quattro parti serra 204

Il ghiaccio i traditor. Quivi ghermito
Sassol de’ Mascheron nella Caina
’l Camicion de’ Pazzi ebbe sentito. 207

Poscia nell’Antenòra ivi vicina
Tra gli
altri dolorosi vide il Bocca
E di Gian Soldanier l’alma meschina, 210

Ed altri molti ch’ora a dir non tocca,
Siccome l’arcivescovo
Ruggieri
Ed il conte Ugolino anima sciocca. 213

Più oltre andando pe’ freddi sentieri
Spiriti trova nella Tolomea
Giacer riversi ne’ ghiacci severi : 216

Quivi raccolta l’alma si vedea
Di Branca d’Oria e di Frate Alberico
Che senza pro de’ frutti si dolea. 219

Appresso vede l’avversaro antico
Nel centro fitto; et
Juda Scarïotto
E Cassio e Bruto di
Cesar nemico 222

Nell’infima Giudecca star di sotto.
Quindi
pe’ velli del fiero animale
Discendendo e salendo, il duca dotto 225


Lui di fuor tira da cotanto male
Per un pertugio, onde le cose belle
Prima rivede : e per cotali scale

Usciron quindi a riveder le stelle. 229

Argumento al « Purgatorio »

Per correr miglior acqua alza le vele
Qui lo autore, e seguendo Virgilio
Pe dolci pomi sale e lascia il fele. 3

Caton primier fuor dell’eterno esilio
Trovano, e, suo parlare procedendo,
Poi danno effetto al suo santo concilio. 6

Su la marina vede discendendo
Nell’aurora più anime sante
E ’l suo Casella; al cui canto attendendo
9

Mentre lanime nuove tutte quante
Givan con lor, rimossi da Catone,
Fuggendo, al
monte ne giron avante. 12

Incerti quivi della regione
Trovan Manfredi et altri che moriro
Per colpa fuor di nostra comunione 15

Cal perder tempo ad equar lo martìro
Alla lor colpa. E quindi ragionando
Del
solar corso, gli solve il desiro 18

L’alto poeta sedendosi, quando
Vider Belacqua in negligenza starsi.
E già levati verso l’alto andando, 21

Buonconte et altri molti in contro farsi
Vider, li quali in fino all’ultim’ora,
Uccisi, a Dio penaro a ritornarsi. 24

Quivi Sordel trovâr sol far dimora:
Il qual poi l’aütor molto ha parlato
Contro ad Italia, il gran Virgilio onora. 27

Poi mena loro in un vallone ornato
D’erbe e di fior, nel qual cantando addita
A Virgilio Sordello stando allato 30

Spiriti d’alta fama in questa vita :
Tra’
quai discesi, il Gallo di Gallura
Riceve l’aütor. Quindi, finita 33

Del dì la luce, vede dell’altura
Due angeli con due spade allocate
Discendere ad aver di costor cura. 36

Poscia dormendo, con penne dorate
Gli par che in alto un’aquila ne ’l porti
D’in fino al foco. Quindi, alte levate 39

Le luci spaventato, da’ conforti
Fatto sicur di Virgilio, Lucia
Gli mostra quivi loro avere scorti. 42

Del Purgatorio gli addita la via:
Dove venuti, qual fosse disegna
La porta e’ gradi ond’a quel si salìa, 45

Chi fosse il portinai’, che veste tegna,
E
quai fosser le chiavi; e che scrivesse
Nella sua fronte, e che far si convegna 48

A chi passa là dentro, poi n’espresse.
E quindi come in la prima cornice
Dichiara con fatica si giugnesse; 51

Et intagliata in altra parte dice
Di quella storie d’umiltà verace:
Poi spirti carchi dall’una pendice 54

Vede venir cantando et orar pace
Per sè e per altrui, purgando quello
Che ne’ mortai superbia sozzo face: 57

Tra’ quali Umberto, et Odorisi ad ello
Appresso, e simil Provenzan Salvani
Piangendo vide sotto il fascio fello. 60

Oltre passando pe sentieri strani,
Sotto le piante sue effigïati
Vide gli altieri spiriti mondani. 63

Da uno splendido angiolo invitati
Più
leggier salgono al giron secondo,
Per che li
P l’autor trovò scemati. 66

Le alte voci mosse dal profondo
Ardor di carità udîr volanti
Per l’aere puro del levato mondo:
69

E, poi che giunti furono più avanti,
Videro spirti accigliati sedere
Vestiti di cilicio tutti
quanti, 72

Perchè la invidia lor tolse il vedere:
Guido del Duca, Sapia e Rinieri
Da Calvol truova lì piangere; e vere 75
Cose racconta di tutti i sentieri
Onde Arno cade e simil di Romagna:
Quindi altri suon sentiron più severi. 78

Et oltre su salendo la montagna,
Da un altro angelo invitati foro,
Parlando dell’orribile magagna 81

D’invidia e dell’opposito fra loro;
E di sè tratto andando vide cose
Pacifiche in lo aspetto: nè dimoro 84

Fe guari in quelle, che ’n caliginose
Parti del monte
entraron, dove l’ira
Molti piangean con parole pietose: 87

Quivi gli mostra Marco quanto mira
Nostra potenzia sia, e quanto possa
Di sua natura, e quanto dal ciel tira, 90

Appresso usciti dall’aria grossa,
Imaginando vede crudi effetti
Venuti in molti da ira commossa. 93

Quivi gl’invìa un angel; per che stretti
Alla grotta amendue a non salire
Dalla notte vegnente
fur costretti. 96

Posti a sedere incominciaro a dire
Insieme dell’amor del bene scemo
Che ’n quel
giron s’empieva con martìre : 99

Dove, siccome noi veder potemo,
Distintamente Virgilio ragiona
Come si scemi in uno ed altro estremo; 102

Che sia amor del quale ogni persona
Tanto favella, e come nasca in noi.
L’abate lì di San Zen da Verona 105

Con altri assai correndo vede poi;
E con lui parla, e seguel nell’oscuro
Tempo, con altri retro a’ passi suoi, 108
Come scorrendo si rifà maturo
D’accidïa l’acerbo. Indi ne mostra
Come, dormendo in su ’l macigno duro, 111
Qual fosse vide la nemica nostra,
E come da noi partasi; e isdormito
Come venisse nella quinta chiostra, 114

Fattoli a ciò da un angelo lo ’nvito.
Quivi giacendo
assai spiriti trova,
Che d’avarizia piangon l’acquisito 117

In giù rivolti e, perchè non se ’n mova
Alcun, legati
tutti; e quivi parla
Con un papa dal Fiesco: appresso prova 120

L’onesta povertà, ed a lodarla
Ugo Ciapetta induce; i cui nepoti
Nati dimostra
tutti atti a schifarla, 123

Pien d’avarizia, e d’ogni virtù vôti;
E come poscia contro alla nequizia,
Passato il dì, cantando vi si noti. 126

Quindi per tutto novella letizia
lo monte tremare fino al basso
Dimostra, mosso da vera giustizia. 129

Qui truova Stazio non a lento passo
Salire in su, al qual Virgilio chiede
Della cagion del tremito del sasso,
132
La quale Stazio assegna: indi succede
Il priego suo ancora a nominarsi:
Quindi, come uom ch’a pena quel che
vede 135

Crede, dichiara Stazio avanti farsi
Ad onorar Virgilio, e li fa chiaro
Lui per contrario peccato agli scarsi 138

Aver per molti secoli l’amaro
Monte provato. E già nel cerchio sesto,
Parlando insieme, un albero trovaro, 141

D’onde una voce lor disse il modesto
Gusto di molti: e più propinqui fatti
Chiaro s’avvider ch’ogni ramo in questo 144

Arbore è vôlto in giù, e d’alto tratti
Vider cader liquor di foglia in foglia;
E sotto ad esso spirti
macri e ratti 147

Vider venir più che per altra soglia
Dell’erto monte, e pure in su la vista
Alli pomi tenean, che sì gl’invoglia. 150

Così andando in fra la turba trista,
Raffigurollo l’ombra di Forese:
Con lui favella; e della gente mista 153

Più riconobbe, e tra gli altri il lucchese
Bonagiunta Orbiccian: poi una voce
All’arbore appressarsi lor difese. 156

Un angel quindi al martìro che coce
Gl’invita: ed essi, per l’ora che tarda
Era, ciascun n’andava su veloce, 159

Mostrando Stazio a lui, se ben si guarda
Nostra generazione, e come l’ombra
Prenda sembianza di corpo bugiarda 162

E come sia da passione ingombra:
E sì andando pervennero al
foco,
Prima che santo monte facesse ombra. 165

Lungo il qual trapassando per un poco
D’un sentieruolo udir voci nemiche
Al vizio di lussuria: ed in quel loco 168

Più anime conobbe che impudiche
Furon vivendo; e Guido Guinicelli
Gli mostra Arnaldo in sì aspre fatiche. 171

Ma, poi che s’è dipartito da elli,
A trapassar lo
foco i cari duci
Confortan lui, ch’a pena in mezzo a quelli 174

Il trapassò. Di quindi alle alte luci
Salir l’invita un angel che cantava,
Pria s’ascondesser li raggi caduci. 177

Vede nel sonno poi Lia che s’ornava
Di fior la testa, cantando parole
Nelle quali essa chi fosse mostrava. 180

Quindi levato nel levar del sole,
Virgilio di sè stesso il fa maestro,
Sul monte giunti, e può far ciò che vuole. 183

Venuti adunque nel loco silvestro,
Trova una selva, ed in quella si spazia
Su per lo lito di Lete sinestro. 186

Vede una donna, che a lui di grazia
Parla e con verissime ragioni :
Del fiume il moto e dell’aura lo sazia. 189

Di quinci a vie più alte ammirazioni
Venuto, sette candelabri e molte
Genti procedere in carro, i timoni 192

Del qual traeva coll’ale in su volte
Un grifon, d’oro, quanto uccel vedeasi,
L’altro di carne; e alle cui rote accolte 195

Da ogni parte una danza moveasi
Di cento donne; e nel mezzo Beatrice
Del tratto carro splendida sedeasi. 198

Da così alta vista e sì felice
Percosso, da Virgilio con Istazio
Esser lasciato lagrimoso dice. 201

Appresso questo, non per lungo spazio,
Con agre riprension la donna il morde
Senza aver luogo a ricoprir mendazio. 204

Per che le sue virtù quasi concorde
Li venner meno e cadde, nè sentisse
Pria ch’alle sue orecchia ad altro sorde 207

Pervenne Tiemmi: onde, anzi ch'egli uscisse,
Da una donna tratto per lo fiume,
L'acqua convenne che egli inghiottisse. 210

Poi quattro donne secondo il costume
Di loro il ricevettero, e menârlo
Di Beatrice avanti al chiaro lume. 213

Qual li paresse il suo viso, pensarlo
Ciascun che 'ntende può, poi la virtute
Gli mancò qui di poter divisarlo. 216

I casi avversi appresso e la salute
Della Chiesa di Dio sotto figmento
Delle future come delle sute 219

Cose disegna. Poi il cominciamento
Di Tigri e d'Eufrate vede in cima
Del monte; e con Matelda va contento 222

E con Istazio ad Eunoè prima;
D'onde bagnato e rimenato a quelle
Donne beate, finisce la rima,

Puro e disposto a salire alle stelle. 226

Argumento al « Paradiso »

La gloria di colui che tutto move
In questa parte mostra l'aütore
A suo poder, qual'ei la vide e dove. 3

Et invocato d’Apollo l’ardore,
Di sè incerto retro a Beatrice
Pe raggi se ’n salì del suo splendore 6

Nel primo ciel: là onde a ciascun dice
Men sofficiente, che retro a sua barca
Più non si metta fra ’l regno felice. 9

E, mentre avanti cantando travarca,
De’ segni della luna fa quistione
Alla sua guida; e quella se ne scarca. 12

Poi c’ha udito la sua openione,
E premettendo alcuna esperïenza
Chiaro ne ’l fa con aperta ragione; 15

Piccarda vede, e della sua essenza
Nel primo cielo per manco di voto
Con lei favella. E della sua presenza 18

Partita, Beatrice a lui divoto
Qual vïolenza il voto manco faccia
Distingue ed apre, e simil gli fa noto 21

Perchè paian li cieli aprir le braccia
A diversi diverso, e come sièno
Però presenti alla divina faccia. 24

Quindi, con viso ancora più sereno,
Se sodisfare a’ voti permutando
Si possa o no, a lui dichiara a pieno : 27

E nel ciel di Mercurio ragionando
Veloci passan. Lì Giustinïano
Prima di sè sodisfà al dimando; 30

Appresso, quanto l’imperio romano
Sotto il segno dell’aquila facesse
Gli mostra in parte; e poi a mano a mano 33

Parlando seco volle ch’el sapesse
Romeo in quella luce glorïarsi,
Che
fe quattro regine di contesse. 36

Induce poi Beatrice a dichiararsi
Come giusta vendetta giustamente
Fosse vengiata: e quindi trasportarsi 39

Nel terzo ciel, veggendo più lucente
La donna sua, s’avvide. Ivi con Carlo
Martel favella, il quale apertamente 42

Gli solve, che il mosse a dimandarlo,
Come di dolce seme nasca amaro:
Quindi Cunizza viene a visitarlo, 45

E del futuro alquanto gli fa chiaro
Sovra i Lombardi; e con Folco favella,
Che gli mostra
Raab. Indi montaro 48

Nella spera del sole, ove una bella
Danza di molti spiriti beati
Vede far festa e nel girarsi isnella : 51

De’ quai gli furon molti nominati
Da Tommaso
d’Aquin, che di Francesco
Molto gli parla e poi degli suoi frati. 54

Poi scrive un cerchio sovraggiunger fresco
A questo, e ’n quel parlar Bonaventura
Da Bagnoregio e del Calagoresco 57

Domenico nel qual fu tanta cura
Della fè nostra e dell’orto divino
Quanta mai fosse in altra creatura. 60

Poi ricomincia Tommaso d’Aquino
Com’egli intenda — Non surse il secondo
Da Salamone, e con chiaro latino 63

Gliele dimostra; et un lume secondo
L’accerta lor, più lieti e più lucenti
Come i lor corpi rïavran del mondo. 66

Quindi nel quinto ciel di luculenti
Spiriti vede una mirabil croce:
Della quale un de’ suoi primi parenti 69

Li fa carezze; e con soave voce
Gli si discuopre; e mostra quale stato
Fiorenza avesse, quando nel feroce 72

E labil mondo fu da pria creato;
Quindi le schiatte più di nome degne
Nomina tutte, da lui dimandato; 75

Poi li fa chiare le parole pregne
Di Farinata e ’n Purgatoro udite,
A lui mostrando del futuro insegne; 78

Appresso ancor con parole spedite
Gli nomina di quei santi fulgori
Josue,
Juda, Carlo, e più scolpite 81

Da lui nel nominar per li splendori
Cresciuti. E quindi nel Giove se ’n sale,
Dove un’aquila fanno i santi ardori 84

Di sè mirabile e bella: la quale
Gli solve il dubbio, d’un che nato sia
Su lito senza udire o bene o male 87

D’Iddio, mostrando quel che di lui fia;
Quindi Davit e Traiano e Rifeo
Gli mostra ed altri in la sua luce dia; 90

Poi il chiarì d’un dubbio, che si feo
In lui, de’ due che appaion pagani
Nel
primo aspetto. Quindi uno scaleo, 93

Salito nel Saturno, di sovrani
Lumi
ripien discerne, onde altro scende
Ed altro sale; e con Pier Damïani 96

Ragiona lì, e qual quivi risplende
Gli parla e noma
più contemplativi
Quel Benedetto onde Casin dipende. 99

Sal nell’ottavo ciel poscia di quivi;
E nel segno de’ Gemini venuto,
Le sette spere ed i corpi passivi 102

Si vede sotto i piè. Poi conosciuto
Cefas, sua fede e suo creder confessa,
Da lui richiesto, a lui tutto compiuto. 105

Con voce appresso luculenta e spressa
Il
baron di Galizia la speranza
Dice che è e che spetta con essa. 108

Indi venire a così alta danza
Giovanni mostra, il qual del corpo morto
Di lui in terra il cava d’ogni
erranza: 111

Poi seguitando, al suo dimando accorto,
Che cosa sia la carità, risponde,
E qual da lei gli procedea conforto. 114

Appresso scrive come alle gioconde
Luci s’aggiunse quel padre vetusto
Che prima fu da Dio creato, e d’onde 117

Tutti nascemmo, e per lo cui mal gusto
Tutti moiamo; il qual del suo uscire
Là onde posto fu, e quanto giusto 120

In quello stesse, e quando il gran disire
Di quella gloria avesse, e la dimora
Quanto fu lunga lì dopo ’l fallire 123

Gli conta, ed altre cose. Indi colora,
Quasi infiammato, il vicario di Dio
Contr’a’
pastor che ci governan ora. 126

Poi come nel ciel nono su salìo
Descrive, dove l’angelica festa
In nove cerchi vede: il suo desìo 129

Di lor natura lì li manifesta
Con
sermon lungo assai mirabil cose
E della turba che ne cadde mesta. 132

Poi vede le milizie glorïose
Del nuovo e dell’antico testamento,
Che bene oprando a Dio si fero spose 135

Nel ciel più alto sovra il fermamento,
Dove ’l
solio d’Enrico ancor vacante
Discerne. E quivi lui che stava attento 138

A riguardar le creature sante
Lascia Beatrice, ed in loco di lei
Bernardo collo sguardo il guida
avante. 141

Dove, poi che fatt’ha orazione a lei
Cui seder vede dove la sortiro
Li merti suoi, gli è mostrata colei 144

Che sposa antica fu del primo viro,
Rachel, Sara, Rebecca, e ’l gran Joanni
Che
pria il deserto e poi provò il martìro. 147

Appresso poi in più sublimi scanni
Francesco et Augustino e Benedetto
E quei che trapassâr ne’ teneri anni 150

Vede; de’ quali il dottor sopradetto,
Dico Bernardo, ragionando, ad
ello
Caccia ogni dubbio fuor del suo concetto. 153

Quindi lo Santo grazïoso e bello
Più ch’altro di Maria gli mostra il viso,
E davanti
da lei quel Gabrïello 156

Che ’l decreto recò di paradiso
Della nostra salute, tanto lieto
Che qui per non poter ben no ’l diviso. 159

Onesto l’uno e l’altro e mansueto,
Adamo e Pietro, e poi il vangelista
Joanni lì seder vede
repleto 162

D’alta letizia; e quivi il gran legista
Moïsè vede e poi Lucia e Anna;
E punto fa alla gloriosa vista. 165

Appresso, a ciò che la divina manna
Discenda in lui e faccial poderoso
A veder ciò per che ciascun s’affanna, 168

Umile quanto può, nel grazïoso
Cospetto della madre d’ogni grazia,
Insieme col dottor di lei focoso, 171

Orando priega che la vista sazia
Del primo amor gli sia; e per lo lume
Che senza fine profondo si spazia 174

Ficca degli occhi suoi il forte acume:
Poi, disegnando quanto ne raccolse,
Termine pone al suo alto volume; 177

Mostrando come in quel tutto si volse
L’alto disìo et alle cose belle,
E come ogni altro appetito gli tolse

L’amor che muove il sole e l’altre stelle. 181

SOPRA LA LETTURA DELLA « DIVINA COMMEDIA

CH’EI FECE NEL MCCCLXXIII

Se Dante piange, dove ch’el si sia,
Che li concetti del suo alto ingegno
Aperti sieno stati al
vulgo indegno,
Come tu di’ della lettura mia; 4

Ciò mi dispiace molto, nè mai fia
Ch’io non ne porti verso me disdegno;
Come che alquanto pur me ne ritegno,
Perchè d’altrui non mia fu tal follìa. 8

Vana speranza e vera povertade
E l’abbagliato senno degli amici
E gli lor preghi ciò mi fecer fare. 11


Ma non goderan guar di tal derrate
Questi ingrati meccanici nimici
D’ogni leggiadro caro adoperare. 14


Giovanni BOCCACCIO

După:http://www.classicitaliani.it/boccaccio/poesia/boccaccio_dante.

duminică, 18 mai 2008

RĂSPUNS - Adrian PĂUNESCU

Savin BADEA spunea...

Dragă Adrian,
Nu e bine ce faci. Eu am o părere extraordinară despre regretatul prieten George Pruteanu şi cred că se ridică mult peste părerile Doamnei Mungiu. Dovadă că şi pentru GP am făcut blogul DANTE ALIGHIERI - DIVINA COMEDIE. Dar trebuie tolerată şi părerea Doamnei, care l-o fi cunoscut mai bine şi care a subliniat că putea realiza mai mult decît a făcut: eu aş fi dorit să facă toată traducerea din Dante, cum nici eu nu o pot face încă. Nu-i nimic rău că a subliniat uriaşa potenţă a lui GP, dar, din păcate, nerealizată toată, nepusă toată în operă. Eu sînt împrăştiat şi am proiecte pentru 7 vieţi pe care nici nu mă "hărnicesc" să le înfăptuiesc. Tu, de exemplu, nu ai în minte o operă şi mai vastă decît vasta operă pe care ai realizat-o pînă acum şi-i mai ceri lui Dumnezeu încă 6-7 vieţi să poţi duce totul pînă la capăt? Şi încă ai viaţă multă înainte, ceea ce din tot sufletul îţi doresc, dar în multe privinţe te consideri încă nerealizat, mai ai multe să realizezi din menirea şi cu harul cu care te-a hărăzit Dumnezeu. În politică nu eşti pe deplin realizat, ca om mai multe fapte bune de făcut. Ca şi mine. Ca şi Pruteanu, dacă mai trăia...Sîntem mereu în urma posibilităţilor noastre. Nu faceţi din prietenul George PRUTEANU un "erou de baladă" (expresia aparţine unui prieten), ci aşezaţi-L cu cinste între Sfinţii apărători ai limbii române, daţi-i titlul de Academician, post-mortem, dacă îl merită (te rog să susţii această idee), puneţi-L în locul pe deplin meritat. Şi eu cred că putea realiza şi mai mult (ca noi toţi) şi merita cinstirea cuvenită meritelor lui. Dar nu încriminaţi pe Doamna Mungiu fără să-i citiţi articolul de mai multe ori. Un poet mare ca tine trebuia să sezizeze nuanţările. Nu fi rău. Cu multă stimă şi admiraţie pentru tot ce faci (mai puţin "vendeta" asta), al tău, Savin BADEA.

Savin Badea

Nu, asta nu e o poziţie corectă. Cum adică „trebuie tolerată şi părerea Doamnei”? Mă irită trăncăneala despre cum trebuie să tăcem noi ca să se audă troznetul de plăcere al fălcilor hienei. Sunt indignat. Mă miră această atitudine la un om cu simţul valorii. A muşca un cadavru nu e un proiect de dialog. Dar nu accept superiorităţi frivole de tipul „ nu e bine ce faci”. Mama mea a fost altcineva. Vendentă? Pentru această nemernicie a respectivei, niciun cuvânt rău nu este suficient de drept. Te preţuiesc, Savin, dar nu-mi plac complicităţile cu neantul. D-ta nu ştii cine e această eseizdă. Cum vine asta, să-l porcăieşti pe un om (amic?), în ziua înmormântării? Asta nu mai e estetică, e necrofagie.
Adrian PĂUNESCU
17 mai 2008